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Copisterie e diritto d’autore: le voci delle copisterie

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Per capire cosa si sia davvero inceppato lo scorso giovedì 28 febbraio, quando, in seguito di un’indagine della Procura della Repubblica, i vigili urbani della città di Torino hanno perquisito e chiuso circa trenta copisterie in zona Palazzo Nuovo, è indispensabile rivolgersi ai diretti interessati; abbiamo quindi interpellato alcuni dei titolari delle copisterie più vicine alla sede storica delle facoltà umanistiche, cercando di osservare la vicenda da un altro punto di vista.

Affrontare il discorso non è semplice, nessuno parla volentieri e si riscontra una generale diffidenza nei confronti di chi chiede informazioni. Alcuni sono però disposti a scambiare qualche parola e, tra loro, anche coloro che sono stati colpiti dalla sanzione penale. L’impressione riscontrata è quella di essere stati “gli unici ad aver pagato”. Le copisterie, di fatto, si trovano ad operare in un terreno scivoloso, dove si incrociano molteplici interessi e dove le regole sembrano fatte apposta per essere ignorate. Un luogo di frontiera dove alla richiesta degli studenti si contrappone l’accordo con la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), il soggetto che, unico in Italia, è responsabile della tutela del diritto d’autore. Dal 2008 tale accordo prevede che l’esercente, corrispondendo un canone annuo fisso per ogni macchina fotocopiatrice posseduta, acquisisca il diritto di fotocopiare fino al 15% di ciascun volume o fascicolo di periodico, escluse le pagine di pubblicità. Rimane a carico dell’esercente vigilare quotidianamente sul rispetto di tale legge, controllando di volta in volta la percentuale di copie effettuate e questo dovrebbe valere anche per le dispense fornite dai professori. Appare chiaro quanto il compito sia oneroso e spesso ben poco praticabile, soprattutto nel caso in cui non si maneggino fisicamente i volumi originali da cui sono state tratte le copie.

Poniamo il caso in cui uno studente di Torino, trovando interessante la dispensa di un suo collega milanese in visita, decidesse di farne una copia per sé: la copisteria torinese non potrebbe in nessun modo essere certa di non fotocopiare più del dovuto, non avendo a disposizione i dati delle edizioni originali. Inoltre, sempre dal 2008, sono stati aboliti i registri in cui erano annotati i dati delle opere riprodotte e il numero di pagine copiate, sulle quali il cliente pagava il dovuto sovrapprezzo: dati necessari per stabilire la ripartizione dei compensi tra gli aventi diritto. «E ora, come si fa a sapere a chi devono andare i soldi raccolti dalla SIAE?» Nessuno degli esercenti è stato in grado di darci una risposta, quello che è sicuro che intanto ogni anno qualcuno paga. E sono sempre loro, le copisterie.

Messi di fronte all’indiscutibilità dell’illecito, alcuni si chiedono come sia possibile tirare avanti applicando strettamente la normativa, altri si sentono sbeffeggiati: i normali controlli della SIAE sono amministrativi e le sanzioni pecuniarie, in questo modo chi guadagna maggiormente sfruttando l’illecito corre il minor rischio d’impresa, perché non ha problemi a pagare l’ammenda nel caso venga rilevata un’irregolarità. E’ quindi un sistema che premia chi ruba di più. Tuttavia la normativa vigente permette alla SIAE di racimolare i soldi che con il vecchio sistema dei bollini non riusciva a recuperare. Come si dice: “pochi, maledetti e subito”. Ma a giudicare dall’importo delle cifre, non poi così “pochi”, soprattutto se teniamo conto di quante copisterie gravitano intorno alle sedi universitarie di tutta Italia. Diversamente dalla prassi usuale, però, il controllo del 28 febbraio scorso è stato voluto direttamente dalla Procura della Repubblica e ha avuto conseguenze penali su coloro che sono stati scoperti in flagranza di reato; stando a chi ci ha mostrato il regolare mandato di perquisizione, rilasciato il 28 febbraio 2013, questo sarebbe il secondo controllo voluto dal giudice negli ultimi dieci anni, mentre la SIAE, a quanto sembra, non si fa vedere da circa 24 mesi.

Tutti concordi che tra i mandanti dell’operazione ci sia G. Giappichelli Editore: «i vigili cercavano soprattutto testi di giurisprudenza». La crisi colpisce tutti e le case editrici, soprattutto quelle specializzate in manualistica, rivendicano gli introiti mancati a causa del mercato nero delle fotocopie. Nessuno, qui, sembra muoversi per nulla. Per coloro che accettano di rispondere alla domanda sul rapporto tra studenti, fotocopie e diritto allo studio, invece, gli universitari dovrebbero orientare le proprie proteste proprio nei confronti degli editori: è nell’intero sistema che giace il problema, non certo nella possibilità di fotocopiare il quindici o il venti percento di un volume. Da chi con le dispense ci vive raccogliamo la proposta di un servizio online, dal quale gli studenti possano scaricare gratuitamente i materiali didattici. Ma rimane ancora il disinteresse che questi ultimi manifestano nei confronti dei testi originali.

Concludendo la nostra ricerca tra le copisterie registriamo un’unica voce fuori dal coro. Essa ripone le sue speranze nell’editoria digitale, rifiuta l’accordo con la Società Italiana Autori ed Editori – e qualora rifiuti l’accordo la fotocopisteria non è autorizzata a riprodurre neanche una sola pagina coperta da diritto d’autore – e fa appello ad un altro tipo di concorrenza, quella fondata sulle competenze professionali: «soprattutto in un periodo di crisi», ci dicono, «non è incrementando i profitti illeciti che si diventa competitivi: è la capacità di impresa a fare la differenza.» A quanto pare senza mercato nero si può vivere lo stesso, anche se i controlli della SIAE, qui, passano due volte l’anno.

Dalla Redazione. (Foto di Federica Peyronel)

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